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Watch Online / Labyrinthus: Il modo di non essere (2021)
Desc: Labyrinthus: Il modo di non essere: Diretto da Maurizio Ravasio. Con Giuseppe Berlendis, Giuseppe Brittanni, Marco Carrara, Elena D'Amici. Labyrinthus "LA VIA DEL NON ESSERE Deduzioni 1) Questo è un film che nasce e si sviluppa nello spirito e nell'ottica di non pagare dazio ad alcun genere, inteso come luogo comune, ma possiamo dire che riconoscendo nella sua trama un una sorta di pianta sacrificale potrebbe avvicinarsi (derivatamente) al genere classico della tragedia (Euripide in particolare, che ne condivide una certa empietà, oltre alla marcata distorsione filosofica, a causa della sua struttura sacrificale (tragica), direi). esso come un "genere" a "Il Settimo Sigillo" o "Vi presento Joe Black", in cui la morte è, rispettivamente, esternalizzata e interiorizzata, ma agisce comunque con lo scopo di ottenere il sacrificio ad essa dovuto sarebbe il primo passo di una trilogia dialettica (penso che la chiameremo così), attraverso la quale rappresenteremo la scissione esterna vita/morte. Questa sarebbe seguita dalla scissione interiore ("noi siamo e siamo non quello che eravamo prima"), ambientato nell'era del COVID, e infine da una kermesse in quattro episodi distinti (due realistici e due surreali), coagulati attorno all'idea di uno spettatore ignaro del fatto di essere, lui stesso, un elemento dello “spettacolo” a cui sta assistendo, e quest'ultimo passo sarebbe da intendersi come quello del ricongiungimento, determinato da una sorta di automovimento estetico (i tre film, appunto). 3) Il film si apre con un passo di Parmedide (dal "Poema sulla Natura"), e da qui il titolo. Nelle nostre intenzioni, il film è anche un'aperta sconfessione dello stesso Parmenide, nel senso che il non essere (la morte, l'apparenza) può almeno essere rappresentato attingendo ad un'appercezione interna. La frase pronunciata alla fine del personaggio di Riccardo ("Se i vivi e i morti potessero incontrarsi, nessuno crederebbe all'esistenza di Dio") non è da intendersi come una banale ipotesi di negazione di Dio stesso (che può affermare o negarne con certezza l'esistenza? ) ma non è altro che la trasposizione, in sintesi, della sinestesia proposta dal film: cioè la percezione contestuale della vita e della morte che interagiscono tra loro; e quindi va inteso nel senso che, se ammettessimo di percepire e condividere una realtà sinestetica (fatta di reale più irreale) non avrebbe più senso ricercare un'unità esterna al pensiero. 4) La “Via del non essere” è l'inizio della percezione simultanea (vita/morte, realtà/apparenza) o della via sinestetica. È anche la via della coscienza critica che esce dal dualismo irrimediabile kantiano e approda a Hegel. In questo percorso è possibile attingere conoscenza. D'altra parte, inteso nel suo aspetto di "arte visiva", il film mette in mostra quell'imponderabile che, non a caso, nella pittura impressionista veniva esteriorizzato dalla luce (fonte materiale del cinema stesso) e viene ora attirato dentro e rappresentato come un lacuna nella coscienza. 5) La struttura del film è allo stesso tempo un labirinto e un filo rosso per uscirne (sinestesia anche in questo). L'incognita del senso è l'enigma da svelare (il minotuar da uccidere) e la struttura labirintica è il risultato di un montaggio rifatto quattro volte, sempre in modo diverso fino a quello finale; il montaggio stesso è la soluzione dell'enigma, come una sorta di sua soluzione dialettica. Per capirlo meglio possiamo paragonare il film ad altre opere come "The Cube" o "Saw-The Riddler", in cui il labirinto è tutto esteriorizzato, e la soluzione dell'enigma è affidata ai personaggi (la maggior parte di cui soccombono), con la differenza che abbiamo ribaltato proprio quegli espedienti scenici: il labirinto è tutto interiore, percettivo, o meglio è nella sola percezione dello spettatore o del destinatario, e non dei personaggi, perché è lo spettatore che è.